Lo stemma di Ivrea tra passato e futuro

Negli scorsi giorni l’amministrazione comunale di Ivrea è stata investita da una polemica politico-araldica, circa l’uso del proprio emblema civico.

Ad innescare la discussione l’iniziativa del Comune di predisporre uno degli ormai molto diffusi (presso le amministrazioni pubbliche) “prontuari” sulle modalità con cui riprodurre lo stemma civico.

L’iniziativa, o meglio le scelte grafiche contenute in tale iniziativa, hanno suscitato l’immediata preoccupazione di un consigliere comunale di opposizione, prontamente riprese dalla stampa locale (1, 2, 3).

A onor del vero tali iniziative non di rado hanno portato a degli scempi araldici, sia sotto il profilo araldico vero e proprio, che sotto il profilo normativo, che sotto il profilo grafico, e dunque le preoccupazioni del consigliere Cantoni non possono essere sbrigativamente cestinate come mera e sterile polemica politica.

Per poter però comprendere se tali preoccupazioni siano fondate nel caso specifico, crediamo utile richiamare alcuni concetti ed alcune norme che i nostri lettori abituali ben conoscono, ma che possono essere ignorate da chi dovesse capitare su questa pagina attraverso gli imperscrutabili percorsi della Rete, senza già disporre delle nozioni tecniche del caso.

ivrea vecchio
Una versione classica dello stemma di Ivrea

LA SOGGETTIVITA’ ARALDICA

Giova dunque ricordare innanzitutto che l’araldica nacque in epoca medioevale, quando non esistevano nè computer, nè fotocopiatrice, nè fotografie, i colori erano realizzati artigianalmente, con materiali reperiti in natura, le immagini erano riprodotte singolarmente e a mano, per lo più sulla base di indicazioni fornite a voce, e senza che chi si trovava a realizzare la raffigurazione richiesta, vedesse o avesse mai visto l’originale.

Da tutto ciò ne consegue che ogni rappresentazione visiva in generale, ed ogni stemma in particolare, differisse anche significativamente da ogni altra sua copia. Basti pensare alle tante rappresentazioni dello stemma dei Visconti (facilmente reperibili anche in rete) tanto diverse tra loro, eppure sempre chiaramente riconoscibili e “uguali” a loro stesse, riproducendo sempre uno stemma in campo d’argento, dominato da un serpente azzurro, posto in verticale, attorcigliato su se stesso, nell’atto di ingoiare un fanciullo.

Tale caratteristica distingue radicalmente – sul piano concettuale – uno stemma da un logo; così il logo della nota casa automobilistica Ferrari, sebbene dalle forme di uno stemma, resta un logo e non è uno stemma. Se infatti una tipografia riproducesse tale logo con una tonalità di giallo differente da quella originale, o raffigurasse il cavallino rampante con una zampa un poco più avanti o in alto di quanto non sia nell’immagine originale, la tipografia avrebbe commesso un errore, e il suo lavoro sarebbe certamente respinto. Non così con uno stemma, dove quel che conta è l’essenza delle figure e dei colori, e con un certo grado di approssimazione, la loro posizione spaziale; che poi l’eventuale leone riprodotto sia magro o paffutello, con il pelo liscio o ispido, sotto il profilo araldico è del tutto irrilevante, come irrilevante è l’impiego di un rosso magenta invece di un rosso cupo, o di un rosso chiaro: quel che interessa all’araldica, è che sia rosso.

Ogni raffigurazione di uno stemma è dunque sempre da intendersi come una delle infinite variabili grafiche possibili, tutte lecite.

Tutto ciò è noto anche con la definizione di “soggettività araldica”.

soggettività
Soggettività araldica: Seppur disegnato in modo differente, resta sempre lo stesso stemma

REGOLAMENTI PER L’USO DEGLI STEMMI

Orbene la redazione dei già citati “manuali d’uso” degli stemmi civici predisposti da molte amministrazioni comunali, tal volta ignora tale concetto e trasformando arbitrariamente lo stemma in un logo, e di conseguenza pretende di fissarne in maniera precisa, rigorosa ed immutabile, ogni sua caratteristica: tonalità cromatiche, proporzioni, segni grafici.

Tale atteggiamento però non va confuso con alcune esigenze pratiche cui le amministrazioni comunque sono tenute a far fronte, ovvero quella da un lato di fornire indicazioni operative e modelli grafici a tipografie, studi grafici, web master e interlocutori vari, che non conoscono la materia e che si troverebbero a dover recuperare le immagini in maniera autonoma e improvvisata, da fonti non sempre attendibili, o magari a doverli ridisegnare autonomamente senza averne le competenze necessarie; dall’altro lato quella di conservare una certa uniformità stilistica alla propria comunicazione, così come anche la sensibilità contemporanea sollecita.

Si tratta di una distinzione molto sottile, che però finisce con l’essere determinante in questo ambito, e nella valutazione del caso specifico.

E per esplicarla ancora meglio formuliamo un esempio di fantasia: quando l’amministrazione civica dovesse pretendere che il compilatore di un ipotetico stemmario regionale, si attenga alle immagini codificate nel proprio “regolamento” per riprodurre il suo stemma in tale ipotetico repertorio, chiaramente ci troveremmo di fronte ad un’amministrazione che ha trasformato il proprio stemma in un logo e – sbagliando – pretende che OGNI riproduzione del “suo” stemma sia trattato come tale; se invece l’amministrazione comunale in oggetto lascia libertà di segno, ma con il proprio “regolamento” fornisce un aiuto a chi non ha competenze araldiche fornendo modelli, esempi ed indicazioni tecniche (ad esempio dei codici pantone per i colori), si limita a fornire un servizio. La situazione limite è quando si chiede l’osservanza di queste indicazioni nella comunicazione istituzionale che fa capo all’ente, pur lasciando la doverosa libertà di rappresentazione di quello stesso stemma al di fuori della propria comunicazione istituzionale; a nostro avviso si tratta di una situazione assimilabile a quella di chi dovesse chiedere ad un ceramista che gli prepari delle piastrelle con un determinato stemma, dalle dimensioni predefinite: ci pare un intervento magari fastidioso, dai risvolti limitanti e per così dire “poco araldici”, ma motivato da ragioni pratiche, e nel suo insieme comprensibile e accettabile.

Una menzione specifica meritano in questo ambito le versioni in bianco e nero dello stemma che molti di questi “prontuari-regolamenti” prevedono. L’esigenza di dover riprodurre uno stemma senza l’ausilio dei colori, è comune al passato, come pure le sue problematiche, ovvero quelle di conservarne l’identità e dunque la riconoscibilità. In questi casi il più delle volte vengono predisposte delle semplici versioni monocromatiche; una soluzione del resto comune a tanti reperti antichi (soprattutto se realizzati ad intarsio, e ancor più in pietra). La soluzione non pare la più efficace, sebbene forse possa essere tollerata visto il suo uso ab antiqua; va inoltre evidenziato che date le tecnologie oggigiorno disponibili, l’uso della monocromia di norma è una scelta stilistica-estetica e in tale contesto la finalità non è più quella di riprodurre uno stemma, ma più semplicemente di alludervi. Ciò non di meno appare più efficace (e più araldico) adottare sistemi come quello introdotto nel ‘600 dal Pietrasanta, e che tanta fortuna ha avuto nelle riproduzioni araldiche in bianco e nero.

IL REGOLAMENTO DI IVREA

Nel caso di Ivrea la documentazione prodotta sembra essere indirizzata nella direzione corretta per risultare appunto accettabile: la scelta di una fra le infinite possibilità grafiche con cui rappresentare l’insegna araldica della città, da usare come modello di riferimento per la sola comunicazione istituzionale dell’ente; nessuna pretesa normativa esterna a tale ambito, anzi, nel dibattito sviluppatosi successivamente alla presentazione del regolamento è anche stato escluso specificatamente l’eventuale revisione stilistica dello stemma rappresentato sul gonfalone, dando per pacifica la coesistenza di stili figurativi diversi pur restando nell’ambito dell’emblematica comunale ufficiale, come doveroso che sia.

La discriminante a questo punto diventa la correttezza del modello adottato dall’amministrazione eporediese (cioè di Ivrea) e indicato nel “regolamento” in questione.

Per valutare tale aspetto è necessario conoscere l’esatto testo della concessione del 9 agosto 1936, a cui purtroppo al momento non abbiamo avuto accesso. Tale circostanza ci obbliga a muoverci sulla sola base di documenti non ufficiali e delle consuetudini, riservandoci dunque di rivedere eventualmente in futuro le nostre considerazioni.

COS’E’ UNO STEMMA

Prima di entrare nel merito ci occorre però l’obbligo di un’ulteriore breve digressione, dedicata agli eventuali lettori occasionali privi di conoscenze specifiche della materia, e che ci abbiano voluti seguire sin qui. Ad essi facciamo presente che lo stemma in quanto tale è solo ciò che è contenuto nello scudo; che la sagoma dello scudo è araldicamente irrilevante e per ciò intercambiabile ad ogni raffigurazione, in base all’estro di chi riproduce lo stemma, oppure in ossequio ad esigenze tecniche (come ad esempio gli spazi a disposizione) o grafiche (uniformità stilistica ad una serie di emblemi all’interno della quale la raffigurazione sarà prodotta), o “giuridiche” (ad esempio la sagoma ovale era riservata agli stemmi utilizzati da soggetti femminili); che gli elementi esterni allo scudo (detti più propriamente “ornamentazioni esterne”) possono essere rilevanti, ma anche solo decorativi, e che comunque non costituiscono parte dello stemma vero e proprio, ma con le stemma costituiscono l’arme araldica, che dunque oltre allo scudo con lo stemma può prevedere corone, manti, padiglioni, motti, tenenti, elementi decorativi, svolazzi, ….

LO STEMMA DI IVREA

Tutto ciò premesso possiamo accostarci allo stemma eporediese con la dovuta attenzione, anche perchè lo stemma concesso alla città di Ivrea – o comunque quello attualmente utilizzato -, presumibilmente è frutto di un riconoscimento di un emblema pre-esistente e di antico uso, e pur nella sua semplicità presenta diverse peculiarità.

Partendo dallo stemma vero e proprio (quindi da ciò che è all’interno dello scudo), esso è caratterizzato da una “croce maggiorata”, cioè di dimensioni più ampie rispetto alla croce “regolare” che si vorrebbe nelle sue braccia larga esattamente 1/3 del lato dello scudo che tocca. Una caratteristica attestata in precedenti blasonature conservate in documenti comunali, e facilmente identificabile in un esame visivo dell’emblema in uso, di cui però sarà opportuno e doveroso accertare la correttezza non appena sarà possibile consultare il decreto citato pocanzi.

Altra peculiarità è data dalla sagoma dello scudo, che è molto simile allo scudo sannitico moderno, normalmente utilizzato nell’araldica civica e per essa reso obbligatorio dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 28 gennaio 2011: è simile, ma non è lo stesso; lo scudo di Ivrea presenta sul perimetro inferiore, ai lati della punta, due insolite incurvature verso l’alto, poco prima di tornare a discendere e a formare la suddetta punta. Sembra strano che possa essere stato previsto nel decreto di concessione del 1936, ma certamente è in uso da decenni.

Molto evidente poi è l’uso di una corona marchionale, in luogo della corona di città, certamente prevista del DGC del 1936, anche se va annotato che quella normalmente utilizzata nello stemma di Ivrea è di tipo “tollerato”, e non quella “regolare”, cioè con il gruppo di perle sostenute da punte emergenti dall’anello della corona, e non direttamente sostenute dall’anello della corona. Esse sono comunque interscambiabili. Va pure annotato che nella versione adottata come modello per la comunicazione istituzionale dell’ente, le perle sono state smaltate di azzurro. Non risulta che vi siano disposizioni in merito al loro colore, ma la tradizione suggerisce costantemente l’uso del bianco.

ivrea sbagliato
Una vecchia versione dello stemma di Ivrea con le ornamentazioni scambiate di posto

Venendo agli altri elementi decorativi esterni allo scudo essi sono dati da due rami, uno di quercia con ghiande (a destra dell’osservatore), e uno di alloro con bacche (a sinistra dell’osservatore), che abbracciano lo scudo stesso e che si incrociano sotto la sua punta, annodati da un nastro azzurro. Va detto che erroneamente tal volta sono utilizzate anche rappresentazioni dello stemma di Ivrea con la posizione dei rami di quercia ed alloro invertita; si tratta di un errore molto comune che alcuni Comuni hanno addirittura fatto diventare norma, ma che contravviene a quanto disposto dall’art.1 del RD 12 ottobre 1933 n. 1440 (si noti: precedente alla concessione ottenuta da Ivrea nel 1936) cui il già citato DPCM del 2011 demanda. Comunque nelle raffigurazioni dello stemma di Ivrea presenti nel “regolamento” predisposto dalla locale amministrazione comunale, tipologia e posizione dei rami sono corrette. Anomalo invece è il colore del nastro che lega i due rami sotto la punta dello stemma: azzurro. Difficile ipotizzare che sia previsto dalla concessione del 1936, possibile che si tratti di un rimando all’azzurro Savoia già in uso nell’ipotizzato stemma preesistente la concessione, ma se non specificatamente concesso nel 1936, esso andrebbe adeguato a quanto previsto nel decreto del 1933 che lo vorrebbe tricolore. Quel che però è certo è che da molti anni esso figura come azzurro nell’emblematica di Ivrea, e tale è conservato nei modelli grafici ora elaborati.

Infine la scritta con l’indicazione “Città di Ivrea” che nella comunicazione istituzionale dell’ente accompagna l’arme, è del tutto estranea all’arme stessa, e a maggior ragione allo stemma; si tratta di un semplice elemento tecnico-grafico accessorio, che non può essere considerato parte della composizione araldica, e di conseguenza le sue caratteristiche grafiche risultano irrilevanti ai fini di un’analisi araldica.

ivrea confronto
Confronto visivo tra la versione in uso (a sinistra) e la nuova versione (a destra) dello stemma utilizzato per la comunicazione istituzionale

NESSUNA INNOVAZIONE

Tutto ciò rilevato, è possibile ora constatare che i modelli predisposti dagli uffici comunali di Ivrea, adottano uno stile grafico contemporaneo che lecitamente può non piacere, ma (colore delle perle della corona a parte) rispettano fedelmente quanto in uso, senza innovare nè lo stemma, nè l’arme nel suo insieme.

L’analisi qui condotta però evidenzia anche alcune criticità “storiche”, magari non determinanti, ma comunque che ci paiono degne di nota (le proporzioni della croce, la sagoma dello scudo ed il colore del nastro che lega il serto esterno allo scudo), che sarebbe opportuno indagare e se il caso, correggere.


Scheda di approfondimento
L’araldica civica italiana

Stemma vuoto di comune

L’araldica è la scienza che studia gli stemmi, questi però sono raggruppabili in tre macro categorie, ovvero gli stemmi di persona e famiglia, gli stemmi ecclesiastici, e gli stemmi di enti.

Quest’ultima categoria comprende in particolare gli enti territoriali, quali i comuni, le province, le regioni, e gli studi araldici ad essa dedicati, sono comunemente indicati come studi sull’araldica civica.

Oggi in Italia solo questa categoria dell’araldica (o meglio gran parte di essa) è disciplinata e tutelata dallo Stato, e la normativa di riferimento è il Decreto del Presidente del Consiglio del 28 gennaio 2011 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1 febbraio 2011, n.25 – Suppl. Ordinario n.26.

Tale Decreto all’articolo 2 precisa che: sono destinatari delle disposizioni di cui al presente decreto: le regioni, le province, le città metropolitane, i comuni, le comunità montane, le comunità isolane, i consorzi, le unioni di comuni, gli enti con personalità giuridica, le banche, le fondazioni, le università, le società, le associazioni, le Forze armate ed i Corpi ad ordinamento civile e militare dello Stato.

L’articolo 5 invece precisa le caratteristiche tecniche degli emblemi civici:

1) Lo scudo obbligatoriamente adottato per la costruzione degli stemmi è quello sannitico moderno …

2) Le province, i comuni insigniti del titolo di città ed
i comuni dovranno collocare sopra lo stemma la corona a
ciascuno spettante, come di seguito descritta:
a) provincia: cerchio d’oro gemmato con le cordonature lisce ai margini, racchiudente due rami, uno di alloro e
uno di quercia, al naturale, uscenti dalla corona, decussati
e ricadenti all’infuori:

Corona di Provincia
b) comune insignito del titolo di città: corona turrita,
formata da un cerchio d’oro aperto da otto pusterle (cinque visibili) con due cordonate a muro sui margini, sostenente otto torri (cinque visibili), riunite da cortine di muro, il tutto d’oro e murato di nero:

Corona di città
c) comune: corona formata da un cerchio aperto da
quattro pusterle (tre visibili), con due cordonate a muro
sui margini, sostenente una cinta, aperta da sedici porte
(nove visibili), ciascuna sormontata da una merlatura a
coda di rondine, il tutto d’argento e murato di nero:

Corona Comune

3) Gli enti di cui all’articolo 2, diversi da provincia, comune insignito del titolo di città e comune, possono fregiare il proprio stemma con corone speciali di cui è studiata di volta in volta la realizzazione a cura dell’ Ufficio onorificenze e araldica.

4) Il gonfalone consiste in un drappo rettangolare di cm. 90 per cm. 180, del colore di uno o di tutti gli smalti dello stemma. Il drappo è sospeso mediante un bilico mobile ad un’asta ricoperta di velluto dello stesso colore, con bullette poste a spirale, e terminata in punta da una freccia, sulla quale sarà riprodotto lo stemma, e sul gambo il nome dell’ente. Il gonfalone ornato e frangiato è caricato, nel centro, dello stemma dell’ente, sormontato dall’iscrizione centrata (convessa verso l’alto) dell’ente medesimo. La cravatta frangiata deve consistere in nastri tricolorati dai colori nazionali. Le parti metalliche del gonfalone devono essere: argentate per gli stemmi del comune, d’oro per gli stemmi della provincia e del comune insignito del titolo di città. Analogamente i ricami, i cordoni, l’iscrizione e le
bullette a spirale devono essere d’argento per gli stemmi del comune, d’oro per gli stemmi della provincia e del comune insignito del titolo di città.

Gonfalone comunale

Il precedente articolo 4, fornisce inoltre delle indicazioni in merito ai motti: I motti devono essere scritti su liste bifide e svolazzanti dello stesso colore del campo dello scudo, con lettere maiuscole romane, collocate sotto la punta dello scudo.

Non sono invece formalmente menzionate le fronde che accompagnano lo scudo ai lati per poi unirsi al di sotto della sua punta, ma il rinvio alla normativa preesistente per quanto non normato dal decreto in questione, oltre alla loro costante presenza nei bozzetti esemplificativi e nelle faq presenti sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri legittimano la comune interpretazione che esse siano previste, e lo siano con le caratteristiche indicate nelle suddette faq: 7) Le fronde che ornano lo scudo che ruolo hanno? Arricchiscono lo scudo ed effigiano l’alloro e la quercia, con le foglie di verde e con le drupe e le bacche d’oro; tali fronde si pongono legate in basso con un nastro tricolorato con i colori nazionali.

Da annotare infine che il comma 1 dell’art. 4 del già richiamato DPCM del 28/01/2011 precisa che “Gli stemmi ed i gonfaloni storici delle province e dei comuni non possono essere modificati”.

I disegni accompagnatori della presente scheda sono desunti dal testo del DPCM del 28/01/2011.

Testo integrale del Decreto del Presidente del Consiglio del 28 gennaio 2011
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